È noto ormai da tempo che l’Homo Sapiens è il principale responsabile del cambiamento degli ecosistemi presenti sul nostro pianeta.
Il noto velista italiano Giovanni Soldini ha dichiarato nell’ultima intervista che, durante il suo ultimo viaggio attraverso gli oceani in barca a vela, ha riscontrato una situazione allarmante per quel che riguarda la quantità di plastica galleggiante presente in tutti i mari del nostro pianeta: dal Pacifico all’ Atlantico, dall’Indiano al mar Mediterraneo.
Ogni anno fiumi di plastica vengono riversati nei nostri oceani, determinando la formazione di vere e proprie isole galleggianti composte per lo più dai residui plastici sversati in acqua, deturpando e avvelenando uno dei beni più preziosi che la natura ci ha dato: il mare.
La plastica, come è noto, è un materiale non biodegradabile il che significa che non ci sono microorganismi come batteri, funghi, protozoi, etc. in grado di utilizzarla come fonte di energia degradandola in composti più semplici che possono essere assorbiti dall’ambiente.
È stato stimato che la plastica può rimanere nell’ambiente anche per migliaia di anni, nel corso dei quali viene spezzettata in frammenti più piccoli, le cosiddette microplastiche, che entrano nella catena alimentare arrivando fino all’uomo.
Che fare allora? Dalla direttiva Ue entrata in vigore il 2 luglio di quest’anno è stata stabilita una riduzione programmata delle emissioni nell’ambiente di plastica monouso tramite alternative prontamente disponibili a partire dal 2021. Secondo i dati diffusi dalla Commissione europea, si trarranno benefici ambientali ed economici cosi quantificabili: si eviterà l’emissione di 3,4 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, si ridurranno i danni ambientali per un costo equivalente pari a 22 miliardi di euro entro il 2030 e si genereranno risparmi per i consumatori pari a circa 6,5 miliardi.
A questo punto sorge una domanda: se queste stesse disposizioni non saranno adottate dai paesi in via di sviluppo, come ad esempio Cina ed India che rappresentano circa il 40% della popolazione mondiale, i benefici che l’ambiente ne trarrebbe saranno o no sufficienti a risolvere il nostro problema? Occorre dunque che oltre ad agire su di un piano giuridico e pratico nell’immediatezza si agisca anche su quello culturale promuovendo la nascita di una coscienza ambientale basata sull’intima convinzione che esiste un legame profondo tra la natura e l uomo e che distruggendo l’una finiremo per distruggere anche l’altro.