Il cinismo imprenditoriale di Fca è un vizio antico che indigna e sconcerta un Paese piegato dalla crisi e in grande recessione. Eppure si ha il coraggio di usare come scudi umani 60 mila dipendenti italiani per richiedere alla Sace la garanzia statale su 6,5 miliardi di prestiti e, naturalmente, bisogna darglieli in tutta fretta, perché altrimenti, per le sue tute blu, saranno guai.
Bisogna fare i conti con l’azionariato di controllo del gruppo che fa capo alla famiglia Agnelli-Elkan e che nel recente passato non pare proprio abbia esitato, a suo tempo, a trasferire in Gran Bretagna il suo domicilio fiscale e, per pagare meno tasse, quella legale in Olanda.
Tutti noi ricordiamo la storia lunga del ruolo che hanno avuto le poderose sovvenzioni pubbliche nella vita della Fiat, salvata a più riprese dai capitali pubblici, e adesso, tanto per non cambiare, continua, in forme diverse, questa logica dei piagnistei in Italia. Una mossa fatta per farsi finanziare dallo Stato in modo da superare la crisi aziendale provocata dal coronavirus. Nessuno discute, per carità, del fatto che sono mosse o richieste lecite. Ma anche i vantaggi dovrebbero essere ponderati e non si può sempre privatizzare gli utili e coprire con capitale pubblico le perdite.
Questi signori da oltre un secolo seguono questa logica con qualsiasi regime o governo, dalla guerra libica ai nostri giorni. Allora, ritornando ad oggi, come si può rifiutare alla Fca di fornire queste cospicue garanzie? Le società del gruppo che hanno base in Italia sono numerose con tanti dipendenti, quindi, hanno legittimità giuridica e un diritto per legge di richiedere e ottenere questi vantaggi. Mentre nessuno può dimenticare che costoro, non solo Fca, che oggi pietiscono, si fa per dire, aiuti ad uno Stato peraltro dissanguato come il nostro, non hanno esitato a delocalizzare la holding titolare, per vedere ridotti i suoi obblighi fiscali in Paesi con condizioni più vantaggiose come la Gran Bretagna.
Ma come se non bastasse, si è proceduto anche il trasferimento della sede societaria in Olanda. La richiesta — a titolo precauzionale— è arrivata qualche settimana fa ed è a valere sulle risorse del plafond Sace che tocca i 200 miliardi, ma 30 sono destinate alle piccole e medie imprese. Dei 170 miliardi rimanenti Fca chiede circa il 5%, il massimo consentito dalla torta dei suoi ricavi.
Perché Garanzia Italia consente di prenotare un prestito con un tetto al 25% del giro d’affari, a conti fatti quello che hanno chiesto i vertici della società operativa, include anche gli stipendi (e gli oneri fiscali e contributivi) dei 55mila dipendenti diretti nel nostro Paese.
La richiesta dovrebbe andare a buon fine, secondo quanto si apprende dal quotidiano Mf, anche se da Sace, sino ad ora, non giunge nessuna conferma. Però pare condizionata ad una serie di paletti tra cui il congelamento del dividendo ai soci sul bilancio 2019, originariamente previsto per 1,1 miliardi. E l’impegno a non approvare l’acquisto di azioni proprie in un periodo di andamenti ribassisti in Borsa.
Fca ha una disponibilità in liquidità di circa 18,6 miliardi, avendo appena richiamato due linee revolving da 7,7 miliardi per gestire i contraccolpi del crollo delle vendite che sta azzerando i flussi di cassa. Il mercato dell’auto, in Europa e anche in Italia, era già in crisi prima dell’emergenza e si era già reso operativo un tavolo al ministero dello Sviluppo. Ora si hanno un 98% in meno di nuove immatricolazioni ad aprile, dopo già il grave crollo dell’86% a marzo. Fiat è leader di mercato in Italia e subisce il contraccolpo di una crisi senza precedenti e davvero paurosa, in maniera più forte dei concorrenti. In attesa delle nozze con i francesi di Psa che dovrebbero avvenire entro il primo trimestre 2021.
Dulcis in fundo, comunque, le attività italiane del gruppo, almeno quelle, le tasse continuano a pagarle in Italia. Mentre i colossi del web non pagano quasi niente e da nessuna parte. A quando una bella richiesta di garanzie creditizie statali italiane anche da Google?