Una bufera si abbatte sulla sanità in Sicilia con un’inchiesta condotta dalla Guardia di finanza relativa a tangenti che riguardavano le gare indette dalla Centrale Unica di Committenza della Regione Siciliana e dall’Asp di Palermo.
Ai domiciliari è finito Antonino Candela, che in passato è stato direttore dell’asp 6 di Palermo e che era da poco coordinatore per la crisi sanitaria covid 19 e che anni fa era stato sotto protezione con una scorta per aver denunciato proprio le spartizioni della sanità nell’isola. È finito in carcere anche l’attuale direttore dell’Asp 9 di Trapani, Fabio Damiani. Sono accusati di avere percepito tangenti del 5% da imprenditori che in cambio venivano favoriti nell’aggiudicazione degli appalti per forniture.
Antonino Candela, da stamattina è stato posto ai domiciliari, mentre è finito in carcere l’attuale direttore dell’Asp 9 di Trapani, Fabio Damiani, 55 anni, che dal 2016 è stato responsabile della ‘Consip siciliana’ da cui passano i principali affidamenti. Oltre i due dirigenti, ci sono altri dieci arrestati dai finanzieri del Nucleo di polizia economico finanziaria, mentre sono diciotto in tutto gli indagati dei pm di Palermo Giacomo Brandini e Giovanni Antoci, coordinati dal procuratore aggiunto Sergio Demontis.
Si tratta di affari che avrebbero fruttato oltre 1,8 milioni di euro di tangenti e buona parte sarebbero stati incassati attraverso due faccendieri che trattavano direttamente con i dirigenti. Candela era contattato dal faccendiere Giuseppe Taibbi, 47 anni, che è stato posto ai domiciliari, mentre per parlare con Damiani bastava contattare Salvatore Manganaro, 44 anni, un ex dirigente in congedo anche lui arrestato in carcere.
Sono state piazzate microspie che hanno consentito di filmare una consegna di una valigetta contenente 100mila euro, che sono poi scomparsi anche attraverso l’utilizzo di passaggi fraudolenti. Mentre un altro indagato, che naturalmente non poteva essere a conoscenza delle microspie piazzate dagli investigatori, dice ad un suo interlocutore: “All’assistenza tecnica mi busco io personalmente 15mila euro al mese… io da nove anni m’incasso quindici mila euro senza fare un’emerita m…”.
Secondo gli investigatori il giro vorticoso di mazzette ruotava intorno alle gare indette dalla Centrale Unica di Committenza della Regione Siciliana e dall’Asp 6 di Palermo per un valore di quasi 600 milioni di euro.
Su disposizione del gip Claudia Rosini sono stati posti ai domiciliari anche gli imprenditori che, in cambio dei favori negli affidamenti e nei rinnovi dei contratti, pagavano le tangenti ai dirigenti delle aziende ospedaliere. Si tratta di Francesco Zanzi, 56 enne originario di Roma e Roberto Satta, cagliaritano di 50 anni, amministratore delegato e responsabile operativo della Tecnologie Sanitarie Spa, Crescenzo De Stasio, 49 anni, direttore unità business centro sud della Siram e il responsabile operativo per l’isola, Angelo Moltisanti, 51 anni, che è anche amministratore delegato della Sei Energia scarl.
Sottoposto ai domiciliari anche l’imprenditore Salvatore Navarra, 47enne di Caltanissetta, titolare di una società di servizi di pulizia, che era già emerso nelle indagini sull’ex presidente della Confindustria siciliana, Antonello Montante. Poi sottoposto a misure cautelari Ivan Turola, 40enne di Milano, ritenuto il referente occulto della Fer.co con la quale aveva ottenuto alcuni lotti di un’ultima gara, adesso sospesa.
Le accuse mosse dal gip a vario titolo sono di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, induzione indebita a dare o promettere utilità, istigazione alla corruzione, rivelazione di segreto di ufficio e turbata libertà degli incanti. Sottoposte a sequestro le sette società utilizzate che hanno sede in Sicilia e in Lombardia, oltre una cifra di 160mila euro, di cui è stato accertato il versamento.
Altre due persone sono state sottoposte al “divieto di esercizio dell’attività”. Il colonnello Gianluca Angelini, comandante del Nucleo di polizia economica finanziaria ha affermato: “È preoccupante che ancora una volta, in indagini di pubblica amministrazione, corrotti e corruttori utilizzano gli stessi metodi per sottrarsi alle indagini, tipici degli ambienti mafiosi”.
L’indagine che era stata avviata nel 2016 mette al centro il ruolo del manager Fabio Damiani, avvocato palermitano, che negli anni aveva ricoperto funzioni importanti per l’affidamento degli appalti. Il nome dell’indagine prende il nome di “Sorella sanità”. Sono state individuate dai finanzieri quattro gare, poi rinnovate: due avviate dall’Asp di Palermo (gestione e manutenzione delle apparecchiature elettromedicali, del valore di 17.635.000 euro; fornitura vettori energetici, conduzione e manutenzione impianti tecnologici, da 126.490.000 euro) e due dalla Cuc (servizi integrati manutenzione apparecchiature elettromedicali, per un valore di 202.400.000 euro ed i servizi di pulizia per gli enti del servizio sanitario regionale da 227.686.423 euro).
Diceva Damiani intercettato: “Quando abbiamo cambiato la busta e loro hanno fatto il ribasso, lo sapevano”. Lo stesso dirigente venne nominato a capo dell’Asp di Trapani dall’assessore alla sanità Ruggero Razza. Prima è stato responsabile delle risorse umane, poi direttore del Provveditorato (l’ufficio che si occupa di appalti) dell’Asp di Palermo, oltre che responsabile della Cuc (centrale unica dei contratti) e presidente delle commissioni di gara contestate dai pm di Palermo.
Sulla nomina a Trapani – secondo i pm palermitani – sarebbe intervenuto il deputato regionale del centrodestra Carmelo Pullarà, per cui il gip Rosini, ha rigettato una richiesta di arresto per turbativa d’asta. Pullara si sarebbe rivolto al direttore generale dell’Asp di Trapani Damiani per avere un favore per la ditta Manutencoop s.p.a. in cambio avrebbe assicurato un sostegno alla nomina di Damiani ai vertici dell’ufficio sanitario.
Pullara è l’ennesimo personaggio politico della maggioranza di Nello Musumeci indagato in meno di tre anni di mandato. L’inchiesta potrebbe essere anche la punta di iceberg che promette clamorosi sviluppi.
1 Commento
Lotta alla corruzione
In questo mondo pervaso d’ipocrisia e retorica non è facile liberarsi dalla corruzione.
La lotta a questa piaga sociale, fatta solo di belle parole e buoni propositi è una guerra persa.
A mio parere c’è solo un antidoto contro questo morbo ed è quello di eliminare dalla circolazione la carta moneta.
Da tempo ormai la tecnologia offre i mezzi per compiere ogni tipo di transazione economica.
La carta moneta, che garantisce l’anonimato, serve in primo luogo ad agevolare i truffatori, gli evasori, i ricatti, le tangenti, il pizzo, i corrotti e corruttori ed ogni tipo di malaffare; per tanto andrebbe eliminata e sostituita con le carte elettroniche.
Si dovrebbe imporre alle banche transazioni a costo simbolico che comunque, per le stesse, produrrebbero utili efficaci. Ancora meglio, istituire un fondo che li gestisca a costi zero producendo utili anche per i risparmiatori.
Solo questo, a mio parere, è il miglior deterrente e la cura idonea per un’epidemia che ha radici antiche e che ben inserita nel sistema sociale a più livelli, difficilmente si farà estirpare.