Di Monica Campesi
Non è il titolo di un film ma si tratta di una storia di vita reale che vede coinvolti tutti i medici, infermieri e paramedici che si sono ritrovati a combattere in prima linea il famigerato Covid – 19.
Sono stati lasciati soli a fare turni massacranti per tenere fede all’impegno preso e al giuramento fatto, hanno letteralmente sacrificato la propria vita per amore del prossimo, ponendo la propria salute e il proprio benessere completamente al di sotto di quello dei malati.
Sono 164 i medici caduti, 40 gli infermieri, senza annoverare gli assistenti contagiati che sono morti nelle Rsa per proteggere e tutelare gli individui più colpiti da questo virus infimo e beffardo.
Una strage preannunciata che non ha comunque allarmato a dovere “i piani alti” al punto da spingerli ad adottare misure immediate di approvvigionamento, senza cercare di procurarsi dispositivi di protezione e di arruolare il personale medico. La Cina è servita da monito per capire cosa stesse accadendo e, lo stato di criticità in cui vertono gli ospedali italiani, a causa dei continui tagli alla sanità perpetrati negli anni, dovevano farci intervenire in maniera lesta e immediata per poter arginare al meglio il problema.
Il virus, infatti, non è stato altro che la cartina tornasole di un sistema fallace che fa capolinea tra le crepe della sanità pubblica ormai sotto gli occhi di tutti da troppo tempo e che è stato ignorato e, anzi, giustificato in virtù di “ tagli necessari ” avendo come unica conseguenza il depauperamento della stessa sanità pubblica.
Al precipitare della situazione, lo slogan “ Milano non si ferma ” è stato cancellato e tempestivamente sostituito dallo slogan “io resto a casa” dopo aver assaggiato la punizione conseguente all’assenza totale di azioni tempestive o ad azioni sconsiderate, quali l’aver preso sotto gamba una situazione tutt’altro che gestibile. Ecco che medici, infermieri e paramedici sono stati chiamati a lottare contro il nemico invisibile con il corpo e i piedi cinti da buste di plastica per via degli insufficienti dispositivi di protezione, mascherine contate e tanto, tanto timore.
E’ stato come mandare anime innocenti a combattere sul fronte una guerra alla cieca, quasi totalmente sprovvisti di una linea strategica, senza la giusta armatura protettiva, muniti solo di qualche scudo e della propria gavetta per l’onore della patria.
Il problema è che quel nemico non lo vedi, non si palesa di fronte a te ma si impossessa di te rendendoti vulnerabile e, ciò che è peggio, un potenziale untore. E quando questo accade la coscienza, le gambe e l’anima non reggono più e si arriva a compiere perfino un gesto inconsulto dal quale non si torna più in dietro: 2 infermieri sono arrivati a compiere il suicidio, uno stress psicologico e fisico troppo pesante da reggere, una responsabilità troppo grande quella di doversi aggirare per un ospedale in veste di salvatore e che in realtà porta l’onere amaro di poter essere conseguenza di contagio.
A tutto questo si aggiunge la beffa della promessa non mantenuta: in Piemonte, una delle regioni più colpite dal virus, si è avuto il bonus in busta paga, un solo euro per il sacrificio, una cifra irrisoria che ha destato proteste e scalpore.
Il bonus certamente non sana le ferite e le perdite subite, ma rappresenterebbe almeno un segnale di vicinanza alla categoria che più di tutte si è ritrovata esposta in prima linea compiendo un enorme sacrificio volontario.
Per la politica, dopo i fatti accaduti, non dovrebbe essere il momento giusto di fare della demagogia, è arrivato il tempo delle azioni concrete e di attribuire i giusti riconoscimenti a chi merita. Ma è anche nostro compito quello di aiutare costoro, e ringraziarli in maniera indiretta, per non ritrovarci in una nuova ondata che renderebbe vani gli sforzi fatti fino ad oggi. Infatti con i nostri gesti sconsiderati: quando rivendichiamo il diritto alla libertà dobbiamo tenere bene a mente che la nostra libertà finisce nel momento in cui il nostro atteggiamento va a ledere la libertà altrui.
Quindi, se decidessimo di non rispettare le regole del distanziamento sociale, se non dovessimo prestare attenzione a non esporre noi stessi e gli altri ad un potenziale contagio, stiamo implicitamente lanciando un messaggio che con la libertà individuale e la democrazia non ha nulla a che fare ma, è un atteggiamento che sfiora i limiti dell’anarchia. Rivendichiamo spesso dei diritti che ci siamo auto – attribuiti venendo meno al rispetto della natura, del nostro prossimo e, conseguentemente, di noi stessi in virtù della rivendicazione del diritto alla libertà individuale che però troppo spesso va a ledere quella altrui.
Un atteggiamento responsabile sarebbe doveroso non solo per noi stessi, per i nostri cari, per i più fragili e per il personale medico, ma per l’intera comunità e se non altro, con un comportamento più coscienzioso, potremmo evitare l’incombere di un nuovo lockdown, epilogo che sarebbe ancor più catastrofico per la nostra economia già dilaniata.
Ovviamente non si può attribuire la responsabilità di come potranno andare le cose unicamente al buon senso del popolo: serve un segnale forte da parte della politica, un intervento deciso e delle linee guida ben definite.
Una domanda ora è d’obbligo farsela: il sacrificio in termini di vite umane sarà stato vano? Alcuni tendono a minimizzare quanto accaduto e quanto ancora sta accadendo, addirittura negando che il virus esista o sia mai esistito.
Questo accade quando ci si sente minacciati nella propria libertà individuale facendoci arrogare implicitamente il diritto di non variare assolutamente nulla del nostro stile di vita.
Tutto questo è ovviamente possibile fintanto che la questione non tocchi costoro da vicino. Una cosa però è certa: è con questi atteggiamenti che si imbocca la strada della vanificazione dei sacrifici fatti finora, misure che, viste in quest’ottica, faranno apparire vani gli sforzi fatti dai nostri eroi mascherati (medici, infermieri e paramedici) che ci salvano la vita con coraggio e onore senza la pretesa di encomi o medaglie.