Quarant’anni fa moriva Giorgio Amendola, personalità politica di rilievo della storia politica del novecento. Figlio di Giovanni, importante esponente liberale, e dell’intellettuale lituana Eva Kuhn.
La sua vita fu sconvolta a 21 anni dalla notizia della morte del padre che morì a Cannes nel 1926, per i postumi di una barbaria delle squadracce fasciste. In seguito a questo fatto il giovane radicalizzò il suo orientamento politico e si iscrisse nel 1929, con grande sorpresa e stupore generale, al Partito Comunista d’Italia.
Non dismise mai di frequentare gli ambienti liberali e, soprattutto, incisero nella sua crescita due grandi intellettuali come Benedetto Croce e Giustino Fortunato, che fu anche amico fraterno del padre.
Dopo essersi laureato in Giurisprudenza raggiunge Parigi, laddove iniziò un’intensa attività politica clandestina. Fu , comunque, arrestato nel giugno del 1932, mentre era in missione segreta a a Milano.
Il regime fascista preferì non processarlo per evitare la riproposizione della barbara eliminazione del padre e, così, venne confinato nell’isola di Ponza, dove nel 1934 si sposò civilmente con la francese, Germaine Lecocq.
Fu Liberato nel 1937, fece ritorno in Francia e, dopo un breve periodo in Tunisia, trascorse gli ultimi anni in Francia. Ritornò in Italia solo nell’aprile 1943 partecipando in prima linea tra le fila dei partigiani delle Brigate Garibaldi vicine al Pci. Così ebbe modo di condividere questa lotta di liberazione insieme a Luigi Longo, Pietro Secchia, Gian Carlo Pajetta e Antonio Carini.
Nel Comando Generale di suddette Brigate lui dirigeva i Gap centrali di Roma. Il ruolo più importante lo svolse quando il Pci lo designò nel 1944 per la giunta militare antifascista del Comitato di Liberazione Nazionale di cui fecero parte esponenti di tutti i partiti democratici quali Sandro Pertini, Riccardo Bauer, Giuseppe Spataro, Manlio Brosio e Mario Cevolotto.
Nel marzo del 1944 fu l’ideatore dell’attentato di via Rasella, eseguito da partigiani dei GAP, che comandati dal futuro storico della letteratura italiana Carlo Salinari attuarono un’attentato dinamitardo, a cui i tedeschi reagirono con l’eccidio delle Fosse Ardeatine.
Gli altri membri della giunta militare non vennero informati in via preventiva dell’attentato per «ragioni di sicurezza cospirativa». Questa azione fu pianificata e realizzata proprio il 23 marzo in occasione della fondazione dei Fasci italiani di combattimento. Sandro Pertini si adirò perché non venne coinvolto nell’azione armata unitaria, mentre il democristiano Spataro si oppose chiedendo in un primo momento una dissociazione della giunta militare antifascista.
La polemica e lo scontro interno per questo attentato rischiò di spaccare il CLN con la mozione democristiana da una parte e dall’altra la posizione di intransigente giustificazione della lotta armata di Amendola. Nel frattempo il rientro di Togliatti da Mosca stemperò lo scontro interno e la Svolta di Salerno con il supporto al governo regio di Badoglio.
Si pose, inoltre, fine, con una tregua, alla posizione antimonarchica del Partito Socialista e del Partito d’azione. Cosicché venne respinta la proposta di Spataro, ma nel contempo viene mitigata la linea di Amendola e la divisione lacerante in seno al CLN, che venne ricomposta con la condanna della “ barbara rappresaglia delle Fosse Ardeatine”.
Anche nel dopoguerra l’attentato di via Rasella venne giustificato nei vari processi come conforme alla linea di tutto il CLN anche se le altre componenti non furono informate e non condivisero l’azione. A tal proposito Riccardo Bauer dichiarò che l’obiettivo del CLN era «rendere impossibile la vita a tedeschi e fascisti dentro e fuori la città di Roma» e che quindi l’attacco «appare come episodio organico», precisando che l’attentato venne «preparato e attuato dai comunisti senza specifico accordo con la Giunta Militare», ma che a fatto compiuto «tutti i rappresentanti del CLN furono concordi nel considerarlo “legittima azione di guerra”».
Nel dopoguerra Giorgio Amendola ebbe un ruolo di primo piano nella storia politica e fu deputato del Pci dal 1948 sino alla sua morte con incarichi di grande responsabilità. Fu, comunque, sempre l’alfiere di una corrente riformista (poi definita migliorista), che auspicò sempre una relazione stretta di alleanza con i socialisti. Si contrappose sempre alla componente di sinistra capeggiata di Pietro Ingrao. Fu autore di numerose opere sulla sua vicenda umana e politica e sull’impegno nella lotta antifascista.
Molto belli e significativi i due libri scritti poco prima di morire: Una scelta di vita e Un’isola. Opere velate da un dolore e da una malinconia che non lo abbandonarono mai, in cui svelò le motivazioni esistenziali dell’adesione al movimento comunista nonostante la sua formazione liberale e moderata.
Giorgio Amendola tentò di promuovere un processo di costruzione di una sinistra che fosse ancorata alla tradizione laica e liberale. Secondo alcuni politologi, Giorgio Amendola fu precursore di un tentativo di dare vita ad una sinistra di stampo europeo, radicata nella tradizione di democrazia laica e liberale, in quanto molto legato alla visione ideale di Piero Gobetti e alla filosofia politica di Norberto Bobbio.
Naturalmente permangono zone d’ombra, contraddizioni ed errori nella sua vicenda umana e politica, non solo per l’attentato di Via Rasella, ma anche, per esempio, quando nel 1971 sottoscrisse la lettera aperta a l’Espresso contro il Commissario Lugi Calabresi.
Tuttavia nella sua vita oltre la morte del padre per mano fascista avvennero vicende traumatiche e drammatiche, non ultima anche la fine della figlia Ada, morta precocemente nel 1974 a soli 37 anni.
In sostanza nonostante l’adesione al Pci, di cui accettava il dogmatismo teorico e il centralismo organizzativo, la sua cultura politica rimase profondamente influenzata dal pensiero liberale per tradizione familiare e per formazione umana.