Gino Giugni ha segnato, con la sua opera di giurista del lavoro, una stagione importante nella storia dei diritti sociali, ricoprendo un ruolo di primo piano nella stesura dello Statuto dei lavoratori.
Genovese, a diciotto anni nel 1945, si iscriveva al Partito Socialista Italiano, si laurea a ventidue anni in legge, con una tesi sul diritto di sciopero, avendo come relatore Giuliano Vassalli. Ha svolto anche un’intesa attività di opinionista, collaborando, soprattutto, al gruppo editoriale de Il Mulino e con il giornale La Repubblica. Giugni ha esercitato la professione di avvocato ed insegnato Diritto del lavoro presso l’Università di Bari la Università di Roma La Sapienza e la Libera università internazionale degli studi sociali Guido Carli. È stato visiting professor nelle Università di Nanterre, Parigi, UCLA (Los Angeles), Buenos Aires e Columbia University di New York.
Il suo saggio “Introduzione allo studio dell’autonomia collettiva” (1960) è stato uno dei primi lavori accademici a dare dignità ed autonomia al diritto sindacale.
Giugni è diventato celebre perché ha ispirato i contenuti dello Statuto dei lavoratori. Infatti nel 1969 Giacomo Brodolini, Ministro del Lavoro, istituiva una Commissione nazionale che aveva il compito di stendere una bozza dello Statuto dei diritti dei lavoratori. Tale commissione era composta da personaggi di notevole spessore e preparazione giuridica e Brodolini nominava quale presidente Giugni, all’epoca già un brillante professore universitario.
Si realizzava nella vita sociale del Paese un processo di riforma nel campo del lavoro che Gino Giugni descriveva in tal modo: «Fu un momento eccezionale, forse l’unico nella storia del diritto in Italia: era la prima volta che i giuristi non si limitavano a svolgere il loro ufficio di “segretari del Principe”, da tecnici al servizio dell’istituzione, ma riuscivano ad operare come autentici specialisti della razionalizzazione sociale, elaborando una proposta politica del diritto».
Giugni è anche stato l’ideatore del trattamento di fine rapporto (TFR), riformando il sistema delle liquidazioni dei lavoratori italiani, introducendo una sorta di sistema contributivo.
Nel maggio 1983, ha vissuto un fatto drammatico poiché venne “gambizzato” da una donna. Tale attentato è stato rivendicato dalle Brigate Rosse, e determinava un cambio di strategia da parte delle Br che consisteva nel colpire “i cervelli” del Paese e non più il “cuore” dello Stato. In quegli anni venivano uccisi noti giuristi del lavoro che rappresentavano per i terroristi “i nemici della classe operaia” e i “servi del capitalismo”. Nel 1983 venne anche eletto senatore nelle liste del Partito Socialista Italiano, ricoprendo le cariche di presidente della Commissione per il lavoro e la sicurezza sociale, nonché di componente della Commissione parlamentare inquirente sulla Loggia Massonica P2. Successivamente ricopre anche la carica di Ministro del Lavoro nel governo Ciampi
Durante il governo Ciampi venne emanata la legge delega che avrebbe portato alla trasformazione delle casse di previdenza dei liberi professionisti con il D.Lgs. 509/1994. Dopo la fine del Psi aderisce ai Socialisti Democratici Italiani di Boselli e nel 1994 viene eletto deputato nel polo dei Progressisti. Nel suo bel libro, La memoria di un riformista, Giugni, in coerenza con le sue radicate convinzioni socialiste e di sinistra lasciava il suo testamento spirituale: «Pensando al futuro, spero che il centrosinistra riesca a costruire un progetto politico riformista credibile, che possa portare davvero a una nuova stagione della politica italiana. Mi auguro, almeno, di non vedere più un partito socialista schierato con la destra». Gino Giugni è stata una delle menti più importanti e intelligenti del socialismo italiano del dopoguerra .