Nella situazione Libica ormai scappata di mano e scivolata verso una situazione che ricorda da vicino il collasso della Somalia e della Siria (con differenze assai consistenti) si registra uno dei più vistosi svarioni della nostra politica estera che è riuscita nell’arco di un decennio a passare dalla rilevanza alla inconsistenza nell’orientamento e influenza in un’area contigua e vitale del nostro paese.
Dopo aver contribuito al rovesciamento del regime di Gheddafi con il quale a fatica e dopo oltre trent’anni di rapporto complesso l’Italia era riuscita finalmente a ristabilire rapporti di amicizia che andavano oltre il buon vicinato, ci siamo ritrovati in una zona di neutralità dopo aver sostenuto per anni il Governo di Tripoli voluto fortemente dalla Comunità Internazionale, insidiato dall’uomo forte della Cirenaica, appoggiato da egiziani, americani e francesi e foraggiato dalle potenze arabe del Golfo. Haftar ha ripetutamente portato l’offensiva militare contro Tripoli non riuscendo a penetrarvi ed arretrando vistosamente ma resta il grande protagonista di questi anni.
Fallita la soluzione politica e diplomatica più volte promossa dagli europei, dai francesi, dai tedeschi e da noi stessi in una memorabile fallimentare Conferenza di Palermo (dove la Turchia abbandonó per protesta) la parola è ritornata alle armi e il terreno libico con il corollario di interessi economici espliciti fondati sull’ingente giacimento petrolifero contenuto nello “scatolone di sabbia” è diventato il teatro politico e militare dove si scontrano medie potenze per l’influenza nel Mediterraneo.
In testa Russia e Turchia, quest’ultima richiamata alle armi dal Premier Sarraj disperato ed assediato nella capitale mentre gli scontri armati rianimavano tutte le efferate bande di derivazione islamica, rilanciando il conflitto Inter-confessionale fra sciiti e sunniti e mentre i commando africani provenienti dal Ciad e Niger rinverdiscono i fasti Gheddafiani quando con i mercenari manteneva il controllo territoriale subsahariano.
In questo quadro le visite di cortesia del nostro Ministro degli Esteri a Tripoli per garantirsi che le mafie dello sfruttamento dell’immigrazione clandestina non riaprano una nuova stagione rappresentano il minimo impegno per una nazione che avrebbe tutti i titoli per esercitare ben altra influenza.
Nessuno ha avanzato la necessità di garantire la pace e la sicurezza attraverso una forza di interposizione e se si vuole discutere della sicurezza dei nostri confini è necessario negoziare a Mosca con Lavrov o ad Ankara con Erdogan.
Una vera catastrofe politica nella quale siamo caduti che è certamente figlia della complessità del caso Libico e del collasso della nazione ma anche di una incapacità di assumere iniziative politiche e militari in grado di determinare o influenzare con efficacia gli eventi.
L’Italia non è mai stata una grande potenza, ma seppe recuperare il terreno perduto sviluppando una efficace ed incisiva azione politica e diplomatica nel mediterraneo per decenni.
Oggi siamo in presenza di una classe dirigente incapace di governare gli eventi che non riesce a superare il livello della normale amministrazione in balia di decisioni che vengono assunte altrove i cui esiti influiscono sulla nostra sicurezza nazionale e sulla pace e stabilità dell’intera area;
La pandemia non ha fermato la necessità di preparare il futuro nell’area dove sono enormi i nostri interessi.
La distrazione e l’immobilismo non preparano nulla di buono per il futuro.