Ferruccio Parri, prima di essere un importante uomo politico della storia repubblicana, fu senza dubbio un valoroso capo partigiano con il nome di battaglia “Maurizio”. In seguito a questo ruolo nella resistenza antifascista fu decorato dagli USA con la Bronze Star Medal. Ricoprì anche il ruolo di primo presidente del Consiglio dei ministri a capo di un governo di unità nazionale, subito dopo la fine della seconda guerra mondiale.
Il suo pseudonimo “Maurizio” fu coniato dal nome della chiesa di San Maurizio che era posta sulla cima della omonima collina, nella città natale di Pinerolo dove nacque Parri. Si laureò in Lettere e filosofia ed insegnò al Liceo Parini di Milano, ricoprendo anche il ruolo di redattore del Corriere della Sera. Nelle prima guerra mondiale ebbe la carica di ufficiale di complemento e fu ripetutamente ferito, distinguendosi per il suo eroismo e meritando tre medaglie d’argento al valor militare, varie onorificenze italiane e francesi, persino la promozione a maggiore per meriti di guerra.
Partecipò come ufficiale di Stato Maggiore alla preparazione dei piani di battaglia per la vittoriosa offensiva di Vittorio Veneto. Nel 1925 il Corriere della Sera venne espropriato e controllato dai fascisti e nonostante il direttore Luigi Albertini gli richiese di restare, almeno per un certo periodo, Parri decise di abbandonare la redazione e successivamente lasciò anche il ruolo d’insegnante per non aver preso la tessera del Partito Fascista.
Naturalmente fu sospettato di attività antifascista subì innumerevoli persecuzioni e in varie occasioni fu percosso. Organizzò insieme a Carlo Rosselli, Sandro Pertini e Adriano Olivetti, la celebre fuga di Filippo Turati e dello stesso Pertini in Francia, navigando da Savona con un motoscafo guidato da Italo Oxilia.
Parri fu arrestato insieme con Rosselli a Massa e durante il processo davanti al Tribunale di Savona il suo avvocato, Vittorio Luzzati, lo difese ricordando le tre medaglie d’argento conquistate durante la prima guerra mondiale.
Parri lo interruppe e senza nessun timore affermò con orgoglio: “Se considero l’Italia attuale mi vergogno delle mie decorazioni!”. Venne condannato prima a 10 mesi di carcere e poi a 5 anni di confino per attività antifascista, venne relegato a Ustica, Lipari e Vallo della Lucania.
Fu liberato nel 1931 e venne assunto come impiegato dalla ‘Edison’ di Milano, ove si distinse per le grandi doti di competenza e professionalità e, quindi, fu promosso dirigente e collocato a capo della sezione economica dell’Ufficio Studi della grande azienda elettrica milanese. Parri, però, continuò a mantenere rapporti segreti con il movimento di Giustizia e Libertà, che nel frattempo si formò in Francia per opera di Carlo Rosselli.
Dopo l’8 settembre del 1943 Parri venne subito indicato dai primi gruppi partigiani e dai vari CLN come la persona più adatta a prendere la guida della Resistenza per la sua capacità di mediazione tra le varie componenti politiche del movimento, per la preparazione militare e per le sue idee azioniste, repubblicane e liberal socialiste che gli Alleati occidentali non temettero. Ebbe contatti con il capo dei servizi segreti americani, Allen Dulles e in questi incontri si posero le basi affinché gli anglo-americani riconoscessero l’esercito partigiano come forza di Liberazione nazionale.
Parri, quindi, divenne per il suo prestigio acquisito il leader del Partito d’Azione nei territori occupati e in seguito lo rappresentò nel Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia. Nel giugno 1944 fu costituito il Comando generale dei Volontari per la Libertà, che rappresentò una guida militare dei partigiani e, così, Parri fu nominato vice-comandante, in cui assunse il nome di battaglia di Maurizio, insieme con il futuro leader comunista, Luigi Longo e il generale Raffaele Cadorna.
Nel gennaio del 1945 Parri fu arrestato e fu condotto dalle SS a San Vittore dove fu anche selvaggiamente picchiato. Successivamente fu trasferito nel carcere di Verona sede anche del Tribunale Speciale.
Poche ore dopo il suo arresto fallì un tentativo di liberarlo da parte di una banda dei GAP di Milano, capeggiata da Edgardo Sogno aveva fatto irruzione nell’Hotel Regina. Quando il generale Karl Wolff, comandante delle SS in Italia, incominciò a condurre trattative segrete con gli Alleati per una ritirata onorevole delle truppe tedesche dal suolo italiano, gli americani, tramite Allen Dulles, che escogitò il piano, chiesero come prova di “buona volontà” la scarcerazione immediata di Parri e del maggiore degli alpini Antonio Usmiani.
Parri e Usmiani i primi giorni di marzo del 1945 furono liberati e condotti in Svizzera. Allen Dulles incontrò i due ex prigionieri a Zurigo e Parri, con indomabile coraggio, dichiarò di voler rientrare al più presto in Italia per riprendere la lotta partigiana. Dopo il 25 aprile Parri raggiunse finalmente a Milano e fu confermato come rappresentante del Partito d’Azione. Espresse il suo parere favorevole alla condanna a morte di Mussolini, mentre si definì sconcertato per la “macelleria messicana” e l’oltraggio riservato a Piazzale Loreto al corpo di Benito Mussolini, della Petacci e degli altri fucilati a Dongo.
Dopo la fine del secondo governo Bonomi e i veti incrociati sui nomi di Pietro Nenni e di Alcide De Gasperi . Parri fu proposto da Leo Valiani, come nome di mediazione alla carica di presidente del Consiglio che venne affiancato dal socialista Rodolfo Morandi.
Parri, che ebbe anche la carica ad interim di Ministro degli Interni, appena insediatosi, si mise al lavoro alacremente e in modo incessante, non lasciando più il suo ufficio per giorni e giorni, dormendo al Viminale su una branda militare, per conoscere e approfondire tutte le pratiche che giacevano in attesa di risoluzione.
Il suo governo di unità nazionale fu diviso e lacerato sin dall’inizio da aspri scontri fra l’estrema sinistra e i liberali. Nonostante tutto ciò riuscì a varare i primi provvedimenti economici per far uscire il Paese dalla situazione disastrosa dopo la fine della guerra post-bellica che consentirono il risarcimento pagato in dollari dagli Stati Uniti per le truppe d’occupazione che permise il risanamento delle infrastrutture.
Furono istituiti il Ministero per la ricostruzione, il Ministero dell’alimentazione e il Ministero dell’assistenza post-bellica e dopo fu varata da Parri la Consulta Nazionale, una sorta di Parlamento scelto dai vari partiti in attesa di libere elezioni, creando il Ministero per la Consulta Nazionale, con il compito di elaborare e promuovere le norme giuridiche riguardanti la Consulta stessa. In seguito venne istituito il Ministero per la Costituente, con il compito di preparare la convocazione dell’Assemblea Costituente.
La situazione della produzione industriale e agricola fu in condizioni disastrose e la lira fu fortemente deprezzata e svalutata, la disoccupazione raggiunse livelli altissimi. Il governo Parri propose delle riforme scomode e innovative: in primis imposte contro i profitti di guerra delle grandi aziende e, soprattutto, una “epurazione” del personale statale compromesso con il fascismo e, appunto, quest’ultima riforma suscitò vaste opposizioni. Parri avviò il riciclaggio delle organizzazioni statali fasciste in nuovi enti per lo Stato. Mentre si rifiutò di considerare il partigianato che si smobilitò come una sorta di categoria protetta dello Stato e che dovesse riconoscere particolari privilegi pur riconoscendo al CLN in qualche misura una istituzionalizzazione. Parri fu molto impegnato con la questione del separatismo siciliano e fu tra i primi politici a denunciare l’esistenza della mafia nell’Italia meridionale svolgendo una lotta senza quartiere alla criminalità organizzata.
In politica estera l’Italia venne esclusa dai tavoli di pace in quanto Paese sconfitto e fu totalmente vano il tentativo di far entrare l’Italia nel novero dei paesi alleati con una postuma dichiarazione di guerra all’ormai sconfitto Giappone avvenuta il 15 luglio del 1945.
Poco dopo, in seguito a una serie di visite all’estero di De Gasperi, si giunse a convocare un nuovo tavolo di trattative, con la partecipazione dell’Italia. Contrasti durissimi nacquero sulla questione dell’Istria e giuliana tra Italia e Iugoslavia e anche sulle colonie italiane. Tali conflitti si riverberarono sul governo e Parri espresse una posizione nettamente solidale con De Gasperi. Quindi fu contestato dai comunisti di Togliatti da sempre vicini invece a Tito. Poi le sue dichiarazioni a favore della repubblica gli alienarono il consenso dei liberali, al punto che Benedetto Croce affermò che c’era “un forte distacco fra il Paese reale e il Governo”.
Il 22 novembre del 1945 i ministri liberali rassegnarono le dimissioni seguiti dai democristiani. La sinistra e il suo partito non lo sostennero e così Parri lasciò la Presidenza del Consiglio. Si dimise, non dimenticando però la sua indole schietta, onesta e verace che non si arrendeva all’evidenza e convocò i giornalisti al Viminale dichiarando di essere vittima di un colpo di Stato. In forte polemica con la “corona” presentò polemicamente le dimissioni al CLN e non al luogotenente Umberto di Savoia come prevedeva la legge. De Gasperi lo convinse a modificare le sue dimissioni e a scusarsi per la sua espressione su un presunto golpe. Allora si recò al Quirinale per dimettersi secondo la prassi. Fu eletto per acclamazione all’unanimità quale segretario del Partito d’Azione nel dicembre del 1945, guidò il partito al congresso del febbraio 1946, che fu caratterizzato dallo scontro tra le due correnti dette “radicali” e “socialisti”. Parri e Ugo La Malfa uscirono dal partito, dando vita alla Concentrazione Democratica Repubblicana, che si presentò alle elezioni politiche del 2 giugno 1946 con una propria lista. Furono eletti i due principali ispiratori e poi dopo aderirono al gruppo repubblicano dentro l’Assemblea Costituente. Parri fu senatore di diritto nella prima legislatura repubblicana (1948) e votò la fiducia ai governi centristi guidati da Alcide De Gasperi.

Nel 1953 abbandonò anche il Pri poichè fu in netto dissenso con la nuova legge elettorale, la cosiddetta “legge truffa”, e diede vita con Piero Calamandrei al movimento di Unità Popolare. Unità Popolare ottenne appena lo 0,6% ma sarà decisivo nel far mancare alla coalizione vincente il quorum necessario per ottenere il premio di maggioranza. Nei confronti di Parri si usò anche la calunnia con un articolo comparso nel giornale “I Meridiani d’Italia”, un giornale di destra, che pubblicò un articolo intitolato «Prove clamorose: Parri tradì i partigiani». Fu un processo clamoroso e a favore di Parri testimoniarono importanti politici del periodo come il comunista Luigi Longo e Sandro Pertini. Il futuro presidente della Repubblica ricordò ai giudici come i capi partigiani avessero temuto per la vita del “comandante Maurizio”. Uno dei suoi carcerieri riferì che Parri fu duramente percosso dai fascisti mentre lo trascinavano al carcere. Parri soffrì immensamente e confidò al suo avvocato: «Forse non basta vivere pulitamente, per i miei nemici avrei dovuto morire. Ma non è colpa mia se sono ancora qui».
Nel 1958 Parri si candidò come indipendente nelle liste del PSI risultando eletto e tornò così dopo un’assenza di cinque anni al Senato. Si schierò con risolutezza contro il governo Tambroni, che godeva dell’appoggio esterno dei neofascisti del MSI. Nel 1963 il presidente della Repubblica Antonio Segni lo nominò senatore a vita, e si iscrisse al Gruppo parlamentare Misto. Si battè da allora per una sinistra unita e fu per tanti anni Presidente del Gruppo parlamentare autonomo denominato “Sinistra Indipendente”, mantenendosi all’opposizione dei governi di centrosinistra e nel contempo si orientò in posizione di alleanza critica in particolare con il PCI. Fondò e diresse, in quegli anni, il periodico l’Astrolabio, tribuna da cui condusse campagne per la realizzazione di una democrazia più compiuta e dalla quale denunciò il risorgente neo-fascismo. Parri fu cristiano, nonostante durante la propria vita abbia sempre strenuamente difeso posizioni laiche. Si può ben dire che Ferruccio Parri fu un vero comandante e padre dalla Patria protagonista indiscusso dell’Italia repubblicana.