Giovanni Amendola fu una figura assai luminosa, unica e limpida del mondo politico liberale che si oppose alla marea montante del fascismo. Nativo di Napoli, a soli due anni si trasferì con i genitori a Firenze, dove il padre prestò servizio per l’Arma. Successivamente andò a Roma, dove conseguì la licenza media. Soltanto quindicenne nel 1897 s’iscrive alla gioventù socialista; l’anno successivo divenne apprendista del quotidiano del Partito Radicale Italiano «La Capitale». Nello stesso anno avvengono a Milano delle rivolte popolari e in seguito alla dura repressione del governo si impose lo scioglimento di molte sedi socialiste in tutta Italia.
Amendola venne arrestato perché tentò di impedire la chiusura di una sede socialista romana. Negli anni successivi Amendola scrisse alcuni articoli per «La Capitale», di cui fu direttore Edoardo Arbib, su esoterismo e teosofia. Fu questo il momento in cui, tramite Arbib, entrò in contatto con la Loggia della Società Teosofica, che ebbe sul finire dell’Ottocento adepti in tutta Italia. Poi tra il 1900 e il 1905 fu membro della loggia capitolina, guidata da Isabel Cooper Oakley. In quegli anni imparò l’inglese e il francese. Quando capì, però, che la teosofia non è una teoria scientifica, ma soltanto una variante del protestantesimo, lasciò la loggia. Durante quel periodo conobbe l’intellettuale lituana Eva Oscarovna Kühn e se ne innamorò.
Fu una grande studioso del drammaturgo Henrik Ibsen poiché fece una lunga ricerca interiore, che fosse capace di trovare una sintesi tra misticismo e razionalismo. Scrisse due articoli per la rivista letteraria fiorentina «Leonardo» di Giovanni Papini e Giuseppe Prezzolini, e collaborò alla rivista modernista Il Rinnovamento. Nel 1905 fu iniziato in massoneria nella Loggia Giandomenico Romagnosi, appartenente al Grande Oriente d’Italia. L’anno successivo soggiornò con la moglie a anche in Germani a Berlino e a Lipsia dove seguì i corsi di Wilhelm Wund, che fu il fondatore di un noto metodo sperimentale in psicologia. Il suo legame con la massoneria durò poco e già nel 1908 abbandonò la loggia.
Nell’ottobre 1909 si stabilì e diresse la Biblioteca filosofica. Tentò anche di fondare una rivista di studi religiosi d’ispirazione modernista finanziata da Alessandro Casati ma il progetto non decollò. Collaborò con «La Voce», fondata nel 1908 da Prezzolini e nel 1911 fondò e diresse una sua rivista assieme a Papini, «L’Anima». In quell’anno si laureò in filosofia con una tesi su Immanuel Kant. In quel momento storico la questione politica più divisiva nel dibattito politico italiano fu l’utilità di un intervento militare in Libia. Amendola all’inizio fu assai mentre successivamente sostenne l’impegno bellico con articoli sulla «Voce», e,così contribui a far aderire all’impresa libica la rivista.
Fu introdotto da Mario Missiroli ad una collaborazione con «il Resto del Carlino» con articoli di carattere culturale e nel 1912 diventò corrispondente da Roma del quotidiano. Nel 1913 sollecitò i radicali a schierarsi con Giovanni Giolitti e ad abbandonare l’alleanza con i socialisti. Le elezioni si svolsero per la prima volta con il suffragio universale maschile e si confermò la maggioranza uscente. In questa occasione i radicali pur restando all’opposizione guadagnarono 62 seggi. Ottenne per un anno il ruolo di docente di Filosofia teoretica all’Università di Pisa. Dopo venne assunto alla redazione romana del «Corriere della Sera» che già all’epoca fu il più diffuso e importante quotidiano italiano.
Si radicò nella sua formazione culturale idee e convinzioni liberali con un progressivo distacco nei confronti della sinistra parlamentare ed in tal senso la sua maturazione politica coincise con la posizione del quotidiano di Albertini. Si dedicò definitivamente all’attività di pubblicista e all’impegno politico schierandosi, comunque, per il conflitto con l’Austria Ungheria che poteva essere utile per riavere i territori sotto dominio austriaco. Si illuse ,come gran parte dei liberali italiani, che la guerra possa costituire una possibilità di risorgimento morale del Paese. Si arruolò come tenente di artiglieria e fu insignito di una medaglia di bronzo al valor militare. Dopo la guerra, nel 1916, fu capo dell’ufficio romano del «Corriere della Sera». Nel 1918 divenne un promotore del Patto di Roma che puntò ad un accordo tra rappresentanti delle varie nazionalità sottomesse agli Asburgo che consentisse lo smembramento dell’impero austro-ungarico e l’autodeterminazione dei popoli. Tuttavia questa posizione venne poi contraddetta dalla politica del ministro degli Esteri italiano Sidney Sonnino. Cosicchè Amendola polemizzò duramente tra il 1918 e il 1919.
Insoddisfatto della politica dei liberali si candidò alle elezioni politiche del 1919 con il partito Democrazia Liberale. Fu cosi eletto nel collegio di Salerno insieme ad Andrea Torre e ad altri tre candidati della lista. Si schierò sin dall’inizio con la corrente che fa capo al leader radicale Francesco Saverio Nitti con cui strinse una solida amicizia. Fu rieletto alla Camera nel maggio 1921 ed entrò a fare parte del gruppo parlamentare “Democrazia unitaria”. Lasciò il Corriere della Sera e fondò un nuovo quotidiano con Andrea Torre e Giovanni Ciraolo che uscì nel gennaio 1922. Nacque cosi «Il Mondo» che divenne una delle voci più autorevoli della stampa democratica. Gli avvenimenti in quegli anni furono convulsi e cadde il governo Bonomi. Amendola venne chiamato nel primo governo Facta, a ricoprire la carica di ministro delle Colonie. Ma appena qualche mese dopo, ad aprile, il gruppo di democrazia liberale alla Camera di cui Amendola fa parte si sfaldò in tre parti.
In giugno fondò con Nitti il «Partito democratico italiano». Alla nuova formazione aderiranno 35 deputati. Dopo la marcia su Roma e l’insediamento del governo Mussolini che avvenne il 16 novembre 1922 Amendola scelse una chiara e netta opposizione. Fu un difensore autentico della democrazia e del Parlamento e non accettò le posizioni di compromesso della classe dirigente liberale tra cui Giolitti e Salandra divenendo così un duro avversario del governo Mussolini. In seguito a questa presa di posizioni, con critiche continue nei confronti del regime subì continue intimidazioni e aggressioni, che sfociarono nell’aggressione fisica il 26 dicembre 1923 a Roma, quando fu bastonato da quattro fascisti e ferito alla testa.
Nell’aprile 1924 fu rieletto alla Camera nella circoscrizione della Campania. Dopo l’omicidio di Giacomo Matteotti nel giugno del 1924 scrisse sul «Mondo»: “Quanto alle opposizioni, è chiaro che in siffatte condizioni, esse non hanno nulla da fare in un Parlamento che manca della sua fondamentale ragione di vita. […] Quando il Parlamento ha fuori di sé la milizia e l’illegalismo, esso è soltanto una burla”. Cosi riuscì a coalizzare le opposizioni (socialista, cattolica e liberale) in quella che passò alla storia come «Secessione dell’Aventino». Annunciò che non avrebbe partecipato alle attività parlamentari fino a quando non fosse stata ripristinata la legalità e con Filippo Turati, promosse una linea di opposizione non violenta al governo, sperando che il re dopo l’assassinio di Matteotti si decidesse a nominare un nuovo governo. Fu contrario ad una rivolta popolare contro il fascismo auspicata dai comunisti e rimase ad accordi con i comunisti che non aderirono all’Aventino. Propose a Benedetto Croce di scrivere un manifesto che riunisse in un documento gli uomini della cultura italiana e così fu partorito il Manifesto degli intellettuali antifascisti. La secessione dell’Aventino non produsse nessun risultato e alla fine del 1924 il governo Mussolini fu ancora in carica.
Nel 1925 Mussolini decise di sopprimere le libertà e di attuare una linea ancora più repressiva. Il 20 luglio 1925 Giovanni Amendola subì l’ennesima aggressione da una quindicina di uomini armati di bastone in località La Colonna a Pieve a Nievole, oggi in provincia di Pistoia. L’attentato fu organizzato e promosso dallo squadrista Carlo Scorza che successivamente ricoprì la carica di segretario del Partito nazionale, ferito e deluso, Amendola, decise di farsi curare a Parigi, dove si recò tra il 1925 e il 1926. I chirurghi che lo operarono rilevano un ematoma o un tumore sulla regione corrispondente all’emitorace sinistro.
Giovanni Amendola muore a Cannes, in Provenza, il 7 aprile 1926 nella clinica Le Cassy Fleur, venne sepolto da esule, sempre a Cannes, e solo nel 1950 la sua salma tornerà in Italia. Giovani Amendola rappresentò un liberale moderno e democratico che seppe interpretare il bisogno di rinnovare la vita pubblica e civile ma soprattutto riuscì ad opporsi alla violenza e all’illegalità del fascismo non piegando mai la testa.