Di Nico Dente Gattola
L’approvazione di un piano di aiuti per l’economia europea il c.d “ Recovery Fund”, rappresenta un traguardo storico e probabilmente segna l’inizio di una nuova fase per l’Unione, da cui potrebbe nascere anche finalmente una nuova Europa, con meccanismi comuni finanziari e fiscali.
Certo, prevederlo adesso, in questa fase storica, in cui i singoli veti possono bloccare una decisione comunitaria, appare utopistico ma rappresenta l’unico rimedio per evitare che i nazionalismi prendano il sopravvento. In tal senso una prima base si può intravedere nell’aver previsto che gli stati membri debbano presentare dei piani su come intendono spendere i fondi in arrivo, che saranno approvati dal Consiglio a maggioranza qualificata, in base alle proposte presentate dalla Commissione Europea.
Principio, questo che, di per sé, potrebbe apparire come lo strumento capace di paralizzare tutto, in realtà non è così perché per la prima volta le decisioni saranno prese a maggioranza qualificata (senza l’unanimità). Inoltre, sia pur in modo indiretto decisioni che riguardano le scelte economiche di un singolo paese verranno prese con il contributo europeo, da cui appunto potrebbe con il tempo derivare anche finalmente una politica fiscale comune. La questione per l’Italia non è semplice e rischia di essere il metro di paragone di come saranno gestiti nel futuro i rapporti con l’Unione: adottare misure che si dimostrino valide a rilanciare la nostra economia contribuirebbero a ridare credibilità al nostro paese.
Al contrario un uso improprio porterebbe, in primo luogo, nel medio termine, ad un vero e proprio commissariamento del nostro Paese, con le istituzioni monetarie ( FMI e BCE su tutte) pronte questa volta ad entrare nella gestione economica dello stesso Stato.
A dire il vero, il dibattito circa la gestione dei fondi, nel nostro Paese non è però partito nel modo migliore, con proposte velleitarie come la costituzione, tanto per cambiare di una commissione bicamerale, per fortuna abortita sul nascere. Laddove invece l’Europa chiede all’Italia un approccio innovativo nella gestione delle risorse, eliminando misure di mero assistenzialismo come il reddito di cittadinanza o come la c.d.“ quota cento”. Difficile capirlo e metterlo in pratica, soprattutto con un governo così poco forte come l’attuale anche perché si tratta di prendere decisioni che avranno una forte rilevanza sociale ed inevitabilmente una conseguenza nei rapporti all’interno della coalizione.
Piaccia o no è questa la vera difficoltà per l’Italia: riuscire ad adottare una politica economica non legata al consenso immediato ma che punti a rilanciare l’economia del paese in modo concreto, anche a costo di una sconfitta elettorale per le forze oggi al governo.