In Italia da trent’anni il sistema politico vive convulsioni continue poiché non è in grado di risolvere il tema scottante e francamente autoreferenziale per i partiti della legge elettorale migliore per eleggere deputati e Senatori. Oggi vorrei ricordare la elettorale italiana del 1953, che testualmente recò questo titolo: “Modifiche al testo unico delle leggi per l’elezione della Camera dei deputati approvato con decreto presidenziale 5 febbraio 1948, n. 26. “Naturalmente si trattò di una legge ordinaria proposta dal democristiano siciliano Mario Scelba, già alla fine della prima legislatura che iniziò nel 1948 dopo l’approvazione della Carta Costituzionale. Fu firmata dall’allora presidente dell’epoca Luigi Einaudi e passò alla storia come” legge truffa”, che fu la definizione dispregiativa utilizzata durante la campagna elettorale di quell’anno.
Infatti, fu una legge che modificò la legge elettorale italiana del 1946 e che introdusse un premio di maggioranza consistente nell’assegnazione del 65% dei seggi della Camera dei deputati alla lista o al gruppo di liste collegate che avesse superato il 50% dei voti validi. Il governo presieduto da Alcide De Gasperi, la propose al Parlamento e fu approvata con i soli voti della maggioranza, dopo un lungo iter e accese discussioni e con il ricorso al voto di fiducia, poiché vi fu la netta contrarietà e il duro dissenso delle forze politiche di opposizione, ma, anche da parte di molte personalità appartenenti all’area della maggioranza.
Vi furono proteste vibranti contro questa legge sia per la procedura di approvazione, sia nel merito del contenuto normativo. Vi fu alla Camera dei deputati, un lungo dibattito con un forte ostruzionismo delle opposizioni che si concluse nel gennaio del 1953 con l’approvazione della questione di fiducia. Dopo l’esame in sede referente della Commissione, la lettura d’Assemblea al Senato della Repubblica fu più celere. Cosicché l’8 marzo 1953 De Gasperi pose la questione di fiducia ed il 23 marzo il presidente della Camera alta Paratore si dimise, lo stesso fece Luigi Gasparotto che rinunciò a sostituirlo, quando capì che la maggioranza aveva intenzione di forzare la mano, per ottenere la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale in tempo per svolgere le elezioni in primavera con la nuova legge.
Il nuovo Presidente del Senato, Meuccio Ruini, approfittò della sospensione domenicale dei lavori per la domenica delle Palme del 1953, per riaprire la seduta e votare l’articolo unico della legge. Tutto ciò provocò un putiferio politico e scaturì un tumulto d’aula, che produsse la clamorosa uscita dall’aula del segretario generale Domenico Galante alla testa dei funzionari parlamentari.
Il gruppo del PCI contestò la regolarità della seduta, preannunciando che non avrebbe mai votato a favore del processo verbale di quella seduta. Ma non ve ne fu bisogno perché il giorno dopo il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi firmò il decreto di scioglimento delle Camere e il Senato si riconvocò solo nella nuova legislatura.
Il giornalista, Indro Montanelli, sostenne che il primo ad utilizzare la parola «truffa» fosse lo stesso Mario Scelba, all’epoca Ministro dell’Interno che, in un primo momento, si disse contrario all’idea della presentazione della legge quando fu facile prevedere una forte reazione delle opposizioni affermando: «L’idea è buona, ma se noi proponiamo una simile legge questa legge sarà chiamata “truffa” e noi saremo chiamati “truffatori”».
Il tentativo di ottenere il premio di maggioranza, per le elezioni politiche di giugno, fece giungere all’apparentamento tra la Democrazia Cristiana, il Partito Socialista Democratico Italiano, il Partito Liberale Italiano, il Partito Repubblicano Italiano, la Südtiroler Volkspartei e il Partito Sardo d’azione. Mentre si schierarono contro importanti uomini politici, tra i quali Ferruccio Parri, proveniente dal Partito Repubblicano che, con Piero Calamandrei e Tristano Codignola, provenienti dal Partito Socialdemocratico, fecero un patto fondando un movimento l’Unità Popolare che ebbe appunto lo scopo di avversare e impedire il funzionamento della nuova legge elettorale a favore delle forze di maggioranza.
Tuttavia anche all’interno dei partiti che appoggiarono la nuova norma vi furono forti contrarietà. Infatti ci fu una scissione nel partito liberale che portò alla costruzione di Alleanza Democratica Nazionale. Il progetto delle forze politiche apparentate fallì per un soffio e i partiti coalizzati ottennero il 49,8% dei voti. Così per circa 54.000 voti il meccanismo previsto dalla legge non scattò.
Rispetto alle elezioni del 1948 si verificò una riduzione piuttosto consistente dei consensi elettorali verso i partiti che imposero la legge: la DC perse l’8,4%; i repubblicani arretrarono dello 0,86%, più di 200.000 voti; perdendo circa 34.000 voti il Partito Sardo d’Azione dimezzò il suo consenso, anche liberali e socialdemocratici subirono perdite. Mentre le sinistre con Il Partito Comunista Italiano e il Partito Socialista Italiano ottennero maggiori consensi aumentando complessivamente di 35 seggi in più. Poi anche il Partito Nazionale Monarchico aumentò da 14 a 40 deputati e il Movimento Sociale Italiano aumentò da 6 a 29 deputati. Cosicché nel luglio del 1954 la legge fu abrogata poiché reputata ormai inutile dalle forze di governo.
La polemica su questa legge non si è mai spenta e, ancora oggi, gli oppositori pensano che l’applicazione della riforma elettorale avrebbe portato ad una distorsione inaccettabile del responso elettorale. Mentre i fautori vedevano la possibilità di assicurare al Paese dei governi stabili non essendoci possibili alleanze più ampie con i partiti di sinistra o con i monarchici.
Al di la di questa controversia non si può negare che la legge andava a innovare una materia che, almeno nell’Europa occidentale vi era una lunga tradizione giuridica che propugnava un sistema elettorale strettamente proporzionale senza grandi correttivi e che in tal modo consentiva la corretta rappresentatività politica in democrazia.
Bisogna anche dire che la Costituzione del 1948 non recepì mai una scelta verso il proporzionale e il sistema del premio di maggioranza non venne considerato dalla maggior parte dei politologi e dei costituzionalisti un mezzo positivo per conseguire una governabilità delle democrazie moderne.
Queste critiche sono riemerse nel tempo nei confronti di leggi elettorali che sono state ritenute anche dallo stesso ideatore una” porcata “(porcellum) , che contenevano al suo interno un premio di maggioranza nazionale alla Camera e regionale al Senato.
Non parliamo del Rosatellum con i nomi prescelti dai partiti e senza voti di preferenza. Si deve sempre conciliare con grandi difficoltà un principio di governabilità con quello della rappresentatività.