Negli Stati Uniti il welfare non esiste e dalla viva voce del vicesindaco di Azzano ricoverato per Covid abbiamo appreso cose che molti fanno finta di non sapere sulla sanità americana come il conto di 100 mila dollari per 17 giorni. Racconta con sofferenza che si trovava in un albergo della metropoli americana in grave stato confusionale avendo visto schizzare la febbre a 41°. I ricordi di quei momenti restano impressi in modo indelebile e riaffiora il fatto che sono giunti due infermieri del 911 perfettamente bardati con tute, mascherine e visiere, e di essere stato trasportato in ambulanza all’ospedale Mount Sinai West. Appena giunto nella struttura sanitaria viene sistemato in una camera da solo e gli viene posta una domanda indimenticabile «Con che cosa paga?».
Cosi Francesco Persico, 33 anni, elettricista della Automazione 2001 e vicesindaco di centrodestra ad Azzano San Paolo, ha esibito miracolosamente il foglio dell’assicurazione fatta dall’azienda. Oggi al pensiero magari ironizza , ma in quel momento non c’era tanto da ridere con la pesante preoccupazione di trovarsi in ospedale con il Covid a migliaia di chilometri da casa lontana dalla moglie e dalla figlia a cui si sommava il pensiero di un inaspettato conto salatissimo da pagare alla sanità statunitense. «Centomila dollari di ospedale più 2.500 per gli 800 metri in ambulanza. Per fortuna, e ringrazio la mia azienda, ero assicurato ma in quel momento il timore era forte anche a casa, con il costo di 8.000 dollari al giorno in terapia intensiva» ci spiega il vice sindaco e ci dice anche il rischio che ha corso : «Una clausola diceva che l’assicurazione non avrebbe pagato se l’Oms avesse dichiarato la pandemia globale. La mia fortuna è essere stato ricoverato prima». Poi è stato ricoverato in terapia intensiva, con la maschera dell’ossigeno, quando ha avuto grave difficoltà respiratoria e ancora oggi, non ha capito quando è avvenuto il contagio del Covid e,cioè , se è avvenuto in Italia o se l’ha preso in America . Era a New York il 28 febbraio ed era partito per la Despe demolizioni con un collega dell’azienda, altri due elettricisti e due meccanici e così l’elettricista dice :
«Dopo una settimana ho avuto la febbre, ma come per la classica influenza. Ho preso la tachipirina. Dopo 3-4 giorni non passava, avevo capogiri e mal di testa. Poi stavo benissimo e la domenica con i colleghi siamo andati a vedere la partita di basket». Mentre il lunedì le febbre è salita e quindi sono cominciati i sospetti di uno dei colleghi: «Chiamiamo qualcuno», mi ha detto. Tuttavia quelli dell’albergo non hanno voluto mandare il medico, ed è stato chiamato il 911. Adesso a ripensarci si definisce «il paziente zero in quell’ospedale. Non erano preparati: ho aspettato mezz’ora sull’ambulanza, il personale ha allestito uno spazio lì per lì, mi hanno trasferito nel reparto di malattie infettive. Da me entravano protetti ma poi, li vedevo dal vetro, si cambiavano in corridoio. Mi hanno trasferito in terapia intensiva, con la maschera facciale dell’ossigeno. Devo dire che ho ricevuto molte attenzioni, se penso alle immagini di Bergamo con i tutti quei pazienti tutti insieme perché non c’era posto. Il cibo, ho fatto anche le foto. Hamburger e patatine fritte, e pizza con il ketchup in terapia intensiva. Non potevo mangiarli, ho perso 12 chili, appena uscito sono andato al supermercato a comprare del cibo». E’ stato ricoverato il 9 marzo e ha lasciato l’ospedale il 25 marzo. «Quando sono stato dimesso non mi hanno fatto il tampone, dovevo rimanere 7 giorni in quarantena in hotel». Quando erano arrivati a New York la città sembrava normale ,mentre quando è uscito dall’ospedale ha potuto vedere che la pandemia stava segnando la metropoli. «Sotto la porta della camera dell’albergo,dice il vice sindaco, ci hanno infilato un biglietto con scritto che avremmo dovuto andarcene perché chiudevano. Ci siamo spostati e anche nel secondo albergo è successa la stessa cosa. Sono rientrato il 4 aprile, con un volo Alitalia per il rimpatrio dei connazionali».
Poi ancora dice :«Sono riuscito a farmi fare il primo tampone il 15 aprile a Seriate, il secondo il 22 ad Albino.Mia moglie si era trasferita dai genitori, ho rivisto la bimba due mesi dopo. E poi, io che ho la delega anche alla Protezione civile, non sopportavo l’idea di non poter essere in giro ad aiutare nell’emergenza». Ormai l’incubo è finito e dichiara che ora sta bene,tuttavia da questa drammatica esperienza americana ha imparato tanto : «Rispetto a tante polemiche, non abbiamo nulla da imparare sulla serietà e capacità di gestire l’emergenza. Trump? Beh, alcune uscite come quella sulla candeggina…. Il fastidio più grande è chi prende questo virus alla leggera, i negazionisti. Non ci sono passati, per forza. Ad Azzano in tre mesi abbiamo avuto cento morti».